Italy: The New Domestic Landscape. Quando il design italiano conquistò l’America

Esposizione Italy: The New Domestic Landscape al MoMA di New York, maggio - settembre 1972. Foto di Leonardo LeGrand via moma.org

È trascorso più di mezzo secolo ma il ricordo (per chi ha avuto la fortuna di parteciparvi) e l’eredità di quella straordinaria mostra sono più vivi che mai. Fu un evento unico, non paragonabile forse a nessun’altra esibizione dedicata al talento italiano negli Stati Uniti.

Un evento che sancì la definitiva affermazione del design italiano a livello internazionale. La grande mostra “Italy: The New Domestic Landscape” (Italia: Il Nuovo Paesaggio Domestico), allestita nel 1972 al MoMA di New York, rappresentò il massimo riconoscimento alla qualità del design italiano e, al contempo, la presa d’atto di una sua crisi di identità

Deus ex machina di questo grande evento fu l’architetto di origini argentine Emilio Ambasz, già curatore del dipartimento di design del MoMA dal 1969 (fino al 1976). Fu lui, nel ’72, a proporre, curare e allestire questa memorabile mostra sul design italiano.

Emilio Ambasz allestì una grandiosa messa in scena in cui erano presenti tutte le voci, sia quelle positive, sia quelle più critiche, della cultura progettuale italiana dell’epoca.

Domus n. 510, maggio 1972

Lo stesso Ambasz esplicita nel catalogo le intenzioni alla base di questo evento quando scrive: «Questa mostra ha cercato di mettere a fuoco le posizioni più significative dell’attualità sul design, applicabili non solo all’Italia».

Un’ampia sezione fu dedicata all’architettura radicale, rappresentata da Gaetano Pesce, Ugo La Pietra, ArchiZoom e Superstudio, che proposero installazioni provocatorie sui temi dell’abitare.

Mentre designer più affermati come Mario Bellini, Ettore Sottsass, Marco Zanuso, Gae Aulenti, Joe Colombo, progettarono utopiche unità abitative.

Gae Aulenti, allestimento per la mostra Italy: The New Domestic Landscape, MoMA, 1972

La mostra rappresentò un’eccezionale occasione di promozione del prodotto industriale italiano (molti degli oggetti esposti entrarono nella collezione permanente del MoMa). Ma fu anche il sintomo di nuovi fermenti ideali in campo progettuale, che risentivano molto dell’inquieto clima politico da cui saranno segnati gli anni ’70 in Italia.

In quegli anni si assisteva all’emergere dell’Italia come forza dominante nel design dei prodotti di consumo, esercitando una notevole influenza su ogni altro paese europeo e gli effetti di quella straordinaria produzione cominciavano a sentirsi anche negli Stati Uniti.

Ma c’era di più. L’Italia era un paese che cominciava a concepire il design non più solo come la semplice produzione di oggetti, ma anche come un modo di discutere e far critica alla società

È proprio in virtù di questa prerogativa che Ambasz ritenne  interessante dare l’occasione ai designer italiani di andare al di là dei singoli oggetti, facendo delle proposte alla scala ambientale, progettando degli ambienti domestici. Un nuovo paesaggio domestico appunto.

Catalogo della mostra curato da Emilio Ambasz. La copertina fu progettata dallo stesso Ambasz

Nel saggio introduttivo al catalogo, Emilio Ambasz  individuava tre tendenze del design italiano di quegli anni. Una tendenza conformistica, una riformistica e una contestativa

Riguardo alla prima, quella conformistica, Ambasz si riferiva a quei designer che operavano dentro il sistema economico-industriale e proponevano degli oggetti di cui la gente ha bisogno per ragioni funzionali ed emozionali. Conformisti quindi nel senso che si sono adattati alle esigenze della società. 

Al secondo gruppo, quello dei riformisti, appartenevano coloro che  proponevano dei modelli alternativi, delle altre possibili maniere di esistere. Erano coloro che volevano riformare operando dentro il sistema, che volevano contribuire a un cambiamento, ma con una certa gradualità.

Il terzo era il gruppo contestativo, secondo cui il design non poteva far niente e una soluzione doveva arrivare dalla politica, dalla società.

Si trattava insomma di qualcosa di più di una mostra di oggetti o di prodotti industriali. Si metteva l’accento sull’importanza del design come parte della cultura italiana, quindi l’oggetto come prodotto culturale.

Italy: the New Domestic Landscape. Achivements and Problems of Italian Design era il titolo completo del catalogo che accompagnava la mostra (a proposito, il catalogo puoi scaricarlo gratuitamente qui), non una semplice guida all’esposizione, ma un vero prodotto editoriale autonomo, di cui Ambasz progettò anche la sovraccoperta in carta da lucido serigrafata, che lasciava intravedere le fotografie scontornate di alcuni oggetti esposti (la seduta Pratone del Gruppo Strum, la lampada Asteroide di Ettore Sottsass, il tavolo Stadio 80 di Vico Magistretti).

Un volume al quale contribuirono i più autorevoli critici e accademici italiani del settore,  tra i quali Manfredo Tafuri, Paolo Portoghesi, Leonardo Benevolo, Vittorio Gregotti, Giulio Carlo Argan, Alessandro Mendini e molti altri.

La mostra era organizzata secondo due sezioni principali: “Objects” ed “Environments”.

Objects” offriva una vasta panoramica sulla produzione nazionale e sulla qualità degli autori, dei progettisti e delle aziende italiane.

La sezione “Environments”, suddivisa in tre ambiti tematici (“Design as Postulation”, “Design as Commentary” e “Counter design as postulation”), presentava il lavoro svolto dai maestri della seconda generazione nel campo degli spazi abitativi. Tra questi Ettore Sottsass, Gae Aulenti, Joe Colombo, Marco Zanuso in collaborazione con Richard Sapper, Mario Bellini e Gaetano Pesce

Ettore Sottsass. Equipped Container

Ettore Sottsass, Equipped Container

Nella sezione Design as Postulation e per la sotto-categoria House Environments, Ettore Sottsass presenta un sistema modulare di mobili in plastica su ruote. I mobili potevano essere spostati e assemblati liberamente determinando configurazioni diverse dello spazio a seconda delle necessità.

Pensavo che si potesse neutralizzare in qualche maniera la cultura, come dire, tutta la cultura del vivere nella casa.
Pensavo che si potesse neutralizzare l’idea che la stanza da letto è la stanza da letto, la cucina è la cucina, il salotto è il salotto, ma che la casa diventasse un ambiente continuo, un ambiente unico, che fosse la casa e non diverse stanze con momenti diversi dell’esistenza. (E. Sottsass jr)

Joe Colombo. Total Furnishing Unit

Joe Colombo, Total Furnishing Unit. Fonte salonemilano.it

Joe Colombo presentò l’Unità Arredativa Globale, una capsula abitativa che racchiudeva tutti gli ambienti di una casa in un unico elemento, un volume cubico. L’unità centrale serviva per le attività quotidiane, come la lettura e l'ascolto di musica con scaffali e un televisore integrato che pendevano dall'alto. Il letto, il bagno e gli armadi si trovavano nella ‘cella notte'. Mentre la ‘scatola cucina' era composta da un cucina con aria condizionata e un tavolo allungabile per il pranzo.

Joe Colombo, designer dotato di straordinaria lungimiranza, aveva intuito in anticipo le trasformazioni che la casa avrebbe subito. Aveva capito che la casa si sarebbe trasformata in uno spazio versatile e flessibile, in cui non ci sarebbe più stata una distinzione netta tra lavoro e relax, tra attività ricreative, sociali e momenti di riflessione, tra la preparazione del cibo e la cura del corpo.

Mario Bellini. Kar-a-sutra

Mario Bellini, Kar-a-sutra

Altro progetto interessante, soprattutto per i risvolti e le influenze sull’industria automobilistica degli anni a venire, fu Kar-a-sutra, un modello di auto con il quale Mario Bellini prefigurava una monovolume dagli interni trasformabili. I sedili, infatti, potevano essere agilmente ruotati, ribaltati o eliminati del tutto.

Lo spazio interno poteva dunque essere organizzato in modi sempre diversi, da qui il nome evocativo Kar-a-sutra, l’auto dalle molte posizioni. Il progetto di Mario Bellini fu sviluppato poi nel 1984 dando vita al modello Espace di Renault, casa per la quale Bellini sarà consulente dal 1978.

Il Controdesign

Tra i progetti cosiddetti “di contestazione”, ospitati nella sezione “Counterdesign”, particolarmente importanti per il messaggio provocatorio e l’influenza sulla cultura del progetto furono i lavori di giovani progettisti dell’epoca come i gruppi Archizoom, Superstudio e Gruppo Strum.

Archizoom

Archizoom presentò un’installazione che consisteva in una stanza grigia, vuota in cui la voce di una bambina descriveva gli interni di una casa. In questo modo chiunque entrasse poteva immaginare la casa come meglio credeva.
Era un modo per rendere il soggetto parte attiva del progetto e manifestare la volontà di ribaltare la tradizionale distinzione tra chi progetta e chi consuma. Per usare le parole di Andrea Branzi, tra i fondatori di Archizoom:«Pure in forma naturalmente molto metaforica, però si immaginava una sorta di produzione intellettuale di massa, cioè dove il progetto non apparteneva più soltanto a un élite, ma anche alla capacità di chi lo usava di interpretarlo, cambiarlo, rigenerarlo secondo una propria incontrollabile creatività».

Audacia e sperimentazione caratterizzarono quindi la scelta delle proposte, ma anche l’allestimento e il catalogo. Ambasz fu in grado, grazie alla sua profonda conoscenza della cultura italiana, di darle voce e di restituire, attraverso questo straordinario evento, la sua complessità e le possibili risposte del design alle sfide della società.

Per usare le parole di Ambasz nel saggio contenuto nel catalogo:

Pertanto, il design in definitiva trascende sia la creazione di oggetti che il conflitto, per comprendere tutti i processi attraverso i quali l’uomo dà significato e ordine a ciò che lo circonda e ai modelli di vita quotidiani. Senza pretesa di risolvere tutto, il design può tuttavia portare l’uomo verso una realizzazione autentica di se stesso.
Giada Daniele

Giada Daniele