Dino Gavina. Genio, ironia e provocazione.

Foto via Internimagazine

È stato definito il primo talent scout del design italiano. Dino Gavina è stato un imprenditore vulcanico e poliedrico, ma anche un designer, un artista, un mecenate con un grande fiuto per il talento.

Si presentava con un biglietto da visita su cui c’era scritto: “Dino Gavina, sovversivo”. E forse sovversivo lo era, per il suo amore per la bellezza, per quell’idea che la bellezza dovesse far parte del quotidiano di ognuno e che potesse migliorare la qualità di vita di tutti.

Appassionato di arti visive, letteratura e teatro, nella sua lunga carriera Dino Gavina si è mosso a cavallo tra due mondi, quello del design e quello dell’arte, spesso facendoli incontrare.

Quest’anno ricorre il centenario della sua nascita e per questa occasione sono in corso una serie di eventi e mostre a Bologna proprio volte a ricordare e riscoprire questa figura così importante per la storia del design italiano.

Dino Gavina inizia a lavorare negli anni ‘40 come allestitore di spazi scenici teatrali ed è grazie a questa attività che fa un incontro fondamentale per la sua carriera, quello con l’artista Lucio Fontana.

Subito dopo la guerra, l’apertura di un laboratorio di tappezzeria in Via Castiglione a Bologna. Qui inizia a produrre e commercializzare i primi mobili utilizzando materiali di recupero per forniture militari e ferroviarie.

All’inizio degli anni ‘50 Lucio Fontana, con il quale nascerà un importante sodalizio (sarà lui ad indirizzarlo verso il disegno industriale), introduce Gavina all’ambiente degli architetti milanesi tra cui Achille e Pier Giacomo Castiglioni, Vico Magistretti, Carlo Scarpa e Carlo Mollino.

Alla fine degli anni ‘50, a Milano, Dino Gavina fa un altro incontro importante, quello con l’architetto e designer giapponese Kazuhide Takahama, con il quale collaborerà per tutta la vita.

La sedia Kazuki progettata nel 1969 da Kazuhide Takahama per Simon, azienda fondata da Dino Gavina. Foto via paradisoterrestre.it

Nel ‘55 la geniale intuizione di mettere in produzione oggetti anonimi, oggetti di cui non si conosce l’autore, oggetti semplici, di uso comune, probabilmente influenzato in questa sua passione dai fratelli Castiglioni. Il primo è la sedia Tripolina (di cui ho raccontato la storia in questo reel).

Sedia Tripolina. Foto via casafacile.it
[…] forse, è la cosa più bella che ho fatto. È difficile batterla. È fatta di niente. È una cosa ancestrale. Che cos’è? È una pelle di animale appoggiata su quattro bastoni. È la prima poltrona dell’uomo. Del re, probabilmente. […] È straordinaria, funziona sempre, vicino a un trumeau, ad un mobile antico. Non funziona soltanto in terrazza.

Subito dopo è la volta del Cavalletto.

[…] Vivendo nel mondo degli artisti, sapevo chi era Duchamp. Conoscevo la sua operazione. Conoscevo l’importanza di aver preso un oggetto di uso comune da uno spazio ed elevarlo ad opera d’arte solo per scelta. Di conseguenza, ho fatto un’operazione simile … Prendo un cavalletto dallo spazio di un falegname e lo porto in una casa. Solo per il fatto di essere in una casa, questo non è più un cavalletto: diventa un tavolo, uno scrittoio, oppure può stare nella casa al mare, dove non c’è tanto spazio, appoggiato al muro e lo si usa solo in caso di bisogno.

Nel 1960 Dino fonda la Gavina SPA, di cui Carlo Scarpa sarà presidente, facendo progettare ad Achille e Pier Giacomo Castiglioni il suo stabilimento di Foligno e quello a San Lazzaro di Savena, quest’ultimo oggi sede di un’importante fondazione culturale.

Quella di Dino Gavina è stata una vita costellata di relazioni con personaggi straordinari. All’inizio degli anni ‘60 vola a New York per conoscere personalmente Marcel Breuer e convincerlo a rieditare capolavori Bauhaus come la Wassily (il nome lo scelse proprio Gavina quando seppe che Kandinskij possedeva l’unico prototipo), la sedia Cesca e il tavolino Laccio. È lui a organizzare la prima mostra in Italia di DuChamp, poi suo amico, così come di Man Ray.

Poltrona Wassily, Marcel Breuer, progetto 1927, produzione 1962. Foto via

La sua influenza è forte ancora oggi, non solo per averci fatto conoscere capolavori come la poltrona Sanluca dei fratelli Castiglioni (oggi Poltrona Frau) o il tavolo Doge di Carlo Scarpa (oggi Cassina), ma anche per aver inventato il modo di esporre i pezzi di design.

Dino Gavina insieme ad Achille e Pier Giacomo Castiglioni fotografati accanto alla poltrona Sanluca sotto il portico di San Luca a Bologna, 1960. © Mauro Masera via elledecor

Nel 1962, insieme a Cesare Cassina, fonda FLOS, producendo lampade tra cui quelle progettate dai fratelli Castiglioni e da Tobia Scarpa, che, dopo ben 60 anni, sono ancora tra le più amate.

Nel ‘67 inaugura a Bologna, aiutato dall’amico Man Ray, il Centro Duchamp, un’associazione culturale dove artisti, scrittori, architetti, designer, poeti, scienziati, musicisti possono esprimersi sperimentando nuovi linguaggi e nuovi materiali.

Dalle attività del Centro scaturisce Ultrarazionale, una collezione di arredi con cui Gavina si prefigge di superare i limiti imposti dal Movimento Moderno. Qualche anno dopo vede la luce un’altra collezione sperimentale, Ultramobile che attinge al linguaggio surrealista.

Tavolo Doge, Carlo Scarpa, 1968, fa parte della collezione Ultrarazionale di Simon, brand fondato da Gavina insieme a Maria Simoncini nel 1967, oggi prodotto da Cassina. Foto via 

A queste collezioni seguirà, nel 1974, Metamobile che trae origine dai progetti di “autocostruzione” di Enzo Mari. Gavina intende sgombrare il campo dalle accuse che gli erano state fatte di produrre mobili per la ricca borghesia, tuttavia Metamobile non è solo una proposta di mobili semplici ed economici ma costituisce un’autentica rivoluzione: si vuole affermare l’idea che ogni persona può  fabbricarsi i mobili per uso proprio.

Contemporaneamente alla fondazione delle aziende che producono mobili e lampade, Dino Gavina dedica grande attenzione agli spazi di vendita dei prodotti. È tra i primi a intuire l’importanza del negozio, tanto che fa progettare lo store Gavina, in via Altabella a Bologna, a Carlo Scarpa.

La facciata del negozio Gavina in via Altabella a Bologna progettato da Carlo Scarpa nel 1961. Foto via 

Il progetto di Scarpa prevede una piastra in calcestruzzo forata da grandi vetrine tonde. Una soluzione di rottura rispetto al contesto del centro storico, tanto che si attirerà non poche polemiche.

Nei primi anni ‘80 ha inizio l’ultima grande impresa di Dino Gavina quando lancia Paradisoterrestre, azienda inizialmente specializzata nella realizzazione di oggetti per esterno e arredo urbano. Qui Gavina riversa quell’inestimabile bagaglio di esperienze e conoscenze acquisito negli anni precedenti.

Sin dagli inizi della civiltà, l’uomo ha contribuito alla costruzione del “suo” paradiso terrestre con i suoi manufatti. Il segno dell’uomo caratterizza ogni possibile paradiso terrestre.

Marcel Breuer lo ha definito “Il più emotivo e impulsivo di tutti i costruttori di mobili del mondo”.

Il lavoro di Gavina è stato sempre animato da un senso dell’ironia e del gioco, per usare le parole di Enrico Baleri, che ne traccia un breve e affascinante ritratto nel suo libro “Lassù tra gli dei“, “[...] lui ancorato testardamente e senza alcun compromesso a un’idea nobile e classica dell’industrial design, sempre estremamente propositivo, ironico e provocatorio quanto basta”.

Ancora Breuer diceva di lui “ci si divertiva occupandosi di cose serie”.

Grazie per aver letto fin qui. Spero di aver soddisfatto, almeno in parte, la tua curiosità su questo importante personaggio della storia del design italiano.

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Giada Daniele

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